Già nel 1993 la storica della scienza Margaret W. Rossiter aveva ben sintetizzato con l’ormai celebre “Matilda Effect” il “peso” attribuito alle donne nei comparti della scienza, della tecnica e della matematica.
Con l’Effetto Matilda, infatti, la Rossiter sottolineava, già molti anni fa, come il contributo dato dalle donne alla ricerca tecnica e scientifica fosse costantemente sminuito. O attribuendo i risultati del lavoro femminile ai colleghi uomini, o “snobbando” le ricerche delle scienziate, citate in misura nettamente inferiore rispetto a quelle degli scienziati.
Nell’arco di quasi trent’anni da questo studio, le cose non sembrano essere migliorate molto e a dirlo sono numerose ricerche che attestano come la strada da percorrere, dal punto di vista culturale ed economico, sia ancora lunga.
I primi dati ci vengono forniti dal Report 2020 sul Gender Gap nelle facoltà STEM di Assolombarda. Analizzando il rapporto tra donne e discipline STEM (acronimo inglese di Science, Technology, Engineering and Mathemathics) il report evidenzia come sussistano ancora delle forti resistenze culturali e di genere.
Nella ricerca infatti si legge come, dopo un miglioramento riscontrato nell’anno accademico 2017/2018, il numero delle ragazze iscritte alle facoltà STEM sia rimasto invariato (18,3%).
Non solo, negli ultimi cinque anni i ragazzi che hanno scelto facoltà STEM sono cresciuti di ben il 7,8% mentre le ragazze si sono fermate al 6,9%.
Nel dettaglio, nell’ultimo anno accademico analizzato le donne iscritte alle facoltà STEM sono soltanto il 37% del totale a fronte di un 62% che ha preferito discipline non-STEM.
In sostanza, ogni 100 ragazze iscritte all’università solo 18 si dedicano a studi scientifici e tecnici mentre 82 preferiscono frequentare facoltà umanistiche.
Un gender gap abbastanza evidente che Assolombarda riscontra anche al termine del percorso di studi e all’entrata delle donne nel mondo del lavoro.
Le donne laureate in discipline STEM hanno un voto di laurea leggermente superiore rispetto a quello degli uomini (107,3 contro 106,4). Riescono inoltre a concludere il corso di laurea in misura maggiore (50% contro 48%). Tuttavia nel mondo del lavoro queste migliori performance accademiche non paiono avere un peso.
A un anno dalla laurea sono ben il 91,8% degli uomini laureati in facoltà STEM a lavorare contro l’89,3% delle donne. Queste, in media, guadagnano mensilmente una cifra leggermente inferiore rispetto ai colleghi uomini.
Anche sotto il profilo salariale, quindi, le donne sembrano essere rimaste indietro e, al momento, il trend pare mantenersi costante.
Numeri non molto incoraggianti ai quali, però, si contrappone un dato che fa ben sperare.
Sempre nel Report di Assolombarda si legge, infatti, come l’Italia abbia una percentuale di ragazze iscritte ai corsi STEM (17%) superiore alla media europea (16%). Riesce così a posizionarsi meglio rispetto ad altre nazioni come ad esempio la Svezia (16%) e la Francia (13%).
Come mai le donne sembrano essere meno inclini alle materie tecniche, scientifiche e matematiche?
Le motivazioni di questa “distanza” sono di diversa natura, ma paiono avere un’origine comune nel background culturale e familiare delle società odierne.
Le ragazze, infatti, sembrano sperimentare minor motivazione e fiducia in loro stesse nell’intraprendere un percorso di formazione scientifica e, in particolare, matematica.
Alle “insicurezze” personali si sommano poi i condizionamenti sociali e familiari, secondo i quali le donne sarebbero meno predisposte alle materie scientifiche.
Questi pregiudizi, ancora oggi abbastanza diffusi e ai quali si sommano stereotipi di genere presenti anche nella categoria degli insegnanti, finiscono col condizionare bambine e ragazze.
Nell’immaginario collettivo, dunque, donne e discipline scientifiche non sarebbero compatibili. L’impossibilità di proporre e promuovere modelli di pensiero comune differenti limiterebbero l’avvicinamento delle ragazze alle materie STEM.
A ben guardare, poi, non sono solo i pregiudizi sociali e familiari a ostacolare il ruolo femminile nei settori tecnici e scientifici.
Nel mondo del lavoro, infatti, le donne soffrono ancora di un forte gap salariale (16% nell’Unione Europea) dovuto anche al fatto che godono di un minor potere contrattuale. Questo è a sua volta determinato dalla “convinzione” culturale secondo la quale devono essere le donne a sobbarcarsi interamente il “peso” di famiglia e figli.
Quando, poi, si parla di carriera e maternità, sia in ambito STEM che non-STEM, le donne sono ancora una volta svantaggiate. Infatti devono o scegliere tra l’una e l’altra o subire “rallentamenti” nelle promozioni, sperimentando in alcuni casi anche il licenziamento.
Un mix di discriminazioni palesi e celate, quindi, che evidenzia come le donne siano ancora oggi discriminate tanto nell’ambito accademico quanto in quello lavorativo STEM. E questo nonostante i tanti progressi fatti per raggiungere la parità di genere.
Il gender gap riscontrato nelle discipline STEM non è una questione meramente “femminile” o di genere. Può avere importanti ripercussioni anche sulle società di domani.
A evidenziarlo è la stessa Commissione Europea che sottolinea come le discipline scientifiche e matematiche sono “fondamentali per guidare la doppia transizione verso un’economia verde e digitale, in un momento di rapida innovazione tecnologica”.
Il futuro è nelle tecnologie. Per questo la Commissione sta cercando di incentivare la partecipazione femminile, stimolando le ragazze a superare ostacoli e pregiudizi e ad approcciarsi con maggior fiducia alle discipline STEM.
Da questo punto di vista, la Commissione Europea, ricollegandosi a quanto già fatto con il programma Horizon 2020, ha già disposto una Gender Equality Strategy 2020-2025. Con lo scopo, appunto, di promuovere l’uguaglianza di genere sia nell’innovazione che nella ricerca.
Il maggior coinvolgimento delle donne nei settori tecnologici e scientifici può, infatti, non solo rendere più egualitario il progresso in questi ambiti. Ma può anche contribuire molto a non replicare nell’ambito del “digitale” le disparità oggi esistenti nel “reale”.
Nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale (AI), ad esempio, le donne sono poche, situazione che sta condizionando molto lo sviluppo di queste tecnologie come ben evidenziato dall’imprenditrice Darya Majidi che ha sottolineato come:
tutti i sistemi di AI rischiano di avere dei pregiudizi legati al genere se le donne non apporteranno il loro contributo di conoscenze e competenze.
Nonostante ci sia ancora molto da fare per “migliorare” il rapporto tra donne e materie STEM, non mancano dei “casi” che attestano come le donne e la scienza siano tutt’altro che incompatibili.
Il più emblematico e ultimo in ordine di tempo, riguarda la missione spaziale Mars 2020 della NASA che ha consentito di inviare su Marte il rover Perseverance, il quale avrà il compito di testare l’abitabilità del pianeta rosso.
Ebbene, dietro un progetto così ambizioso e delicato ci sono ben sette donne che con la loro intelligenza e il loro impegno hanno giocato un ruolo fondamentale nell’attuazione della missione.
Si tratta di professioniste creative e coraggiose che, in diversi ruoli, hanno contribuito enormemente a rendere possibile l’arrivo di Perseverance su Marte.
C’è Swati Mohan, la scienziata di origini indiane che ha diretto le operazioni della NASA per il Mars Guidance Navigation and Control (GN&C), c’è Moogega Stricker, capo del JPL per Perseverance, c’è anche Heather Ann Bottom, Systems Engineer per Perseverance, o ancora Vandana Varma che si è invece occupata dello sviluppo del rover, utilizzando peraltro una tecnologia di programmazione (PLEXIL) da lei stessa co-scritta e sviluppata.
Le donne dietro al successo di Perseverance dimostrano come la scienza e la tecnica non siano una prerogativa esclusivamente maschile, e non sono di certo un caso isolato.
Guardando tanto al passato quando al presente, il contributo femminile alle scienze, alla tecnica, all’ingegneria e alla matematica è fondamentale e per il futuro ci si deve augurare che tale contributo sia riconosciuto e non più ostacolato.